La storia di Franco: mi spezzo ma non mi piego
Franco è un ingegnere in pensione di 71 anni, che ha partecipato a una mia presentazione qualche anno fa. L’inverno successivo è venuto da me per ricevere delle lezioni di Integrazione Funzionale®: desiderava imparare a piegarsi meglio in avanti per poter toccare terra con le mani. Quando mi ha mostrato cos’era in grado di fare, ho notato che le sue mani arrivavano a malapena sotto le ginocchia.
La sua schiena sembrava un guscio di tartaruga irrigidito e camminava come se non avesse le articolazioni delle anche e delle caviglie.
Dal modo in cui appendeva gli abiti e si cambiava completamente per ricevere l’IF, ho avuto l’impressione che fosse una persona molto abitudinaria, che seguiva regole precise. Ci teneva ad arrivare a piegarsi in avanti, ma in fondo era uno di quegli uomini che “si sarebbero spezzati piuttosto che piegarsi”.
Ho accettato la sua richiesta e abbiamo iniziato un ciclo di lezioni con l’intento di assecondare il suo desiderio e di chiarire il rapporto della schiena con anche, ginocchia e caviglie. Franco ha una scoliosi pronunciata e dolori alla schiena fin da ragazzo; per questo gli era stato consigliato di aggiungere un rialzo alla scarpa sinistra.
In piedi, non era capace di lasciar andare tutto il suo peso sul pavimento e sembrava tenersi sempre su per stare diritto.
Nel momento in cui si è accorto che, in posizione eretta, era sufficiente ammorbidire le ginocchia e le caviglie, perché la schiena lasciasse andare parte delle tensioni e che poteva utilizzare queste articolazioni anche per trovare un equilibrio, Franco ha percepito più chiaramente il suo peso e ha capito che poteva spostarlo in diverse direzioni, senza per questo perdere stabilità.
Ogni lezione terminava immancabilmente con un tentativo di toccare il pavimento con le mani, e, infatti, queste si avvicinavano maggiormente ai piedi: il miglioramento era evidente. Io lasciavo fare, anche se mi ero posta un diverso obiettivo.
Qui di seguito descriverò brevemente la trama di una lezione.
Franco mi chiede di lavorare nuovamente in una posizione specifica, da seduto. Il tema dell’IF è chiarire la rotazione da seduti. La posizione è impegnativa: seduto sul lettino, con un piede che tocca terra e l’altra gamba ripiegata all’indietro sul lettino.
All’inizio lo osservo, seduto con entrambi i piedi sul pavimento, mentre si gira verso destra e verso sinistra. Cerco di capire su quale lato lascia più peso, muovendogli leggermente le ginocchia e sentendo il grado di libertà nelle articolazioni delle anche. Lo guardo anche da dietro per vedere la forma della schiena e delle natiche; il lato sinistro sembra più pesante.
Più tardi, quando gli chiedo di piegare all’indietro sul lettino la gamba destra, mi accorgo che non è comodo in questa posizione e che tende a cadere verso sinistra. Gli chiedo quindi di appoggiarsi sull’avambraccio sinistro per essere più stabile e in questa posizione inizio a esplorare i movimenti della testa.
Quando gli giro la testa verso sinistra, il movimento scende lungo la colonna vertebrale, interrompendosi però a metà schiena. Decido allora di aiutarlo partendo dal bacino, sollevandolo un poco a destra e accorciando il fianco destro; ora le costole medie e inferiori iniziano a muoversi e questo significa che anche la colonna partecipa. Mentre porto con una mano il lato destro del bacino in direzioni leggermente diverse, con l’altra mano metto in relazione ogni vertebra col movimento pelvico e aiuto la colonna a trovare la direzione verso l’alto: muovo il bacino con l’intenzione di raggiungere le vertebre. Ritorno quindi alla testa e verifico se il movimento di rotazione si trasmette più in giù, lungo la colonna.
Chiedo a Franco di verificare la rotazione da seduto, con entrambi i piedi a terra; lui si gira e nota una differenza tra i due lati.
La lezione procede lavorando con parti diverse e anche con l’altro lato. In questo modo riusciamo a stabilire connessioni più precise e stimoliamo il SNC nella sua riorganizzazione per l’azione desiderata.
Mentre gli sposto la gamba destra leggermente più indietro sul lettino, Franco sente chiaramente che l’anca destra si apre in avanti, mentre la schiena è coinvolta indirettamente e inizia a estendersi.
Successivamente gli porto il braccio destro verso sinistra e all’indietro, e contemporaneamente aiuto la schiena e le costole a cooperare. In questo modo Franco può sentire facilmente più parti di sé e includerle nei suoi movimenti.
Alla fine della lezione, Franco si siede con il suo peso distribuito in modo più equilibrato. Si accorge che può piegarsi in avanti facendo partire il movimento dal bacino e non solo dal braccio e dalla parte alta della schiena, come aveva sempre fatto. In posizione eretta facciamo gli stessi test e Franco non solo si ritrova più centrato, ma può anche girarsi con facilità e raggiungere qualcosa utilizzando le articolazioni delle anche. Quando inizia a camminare sente che la testa e il collo sono più liberi.
La prossima lezione sarà più centrata sul camminare.
Poco tempo dopo, Franco decide di frequentare le lezioni collettive di CAM, inizialmente una volta la settimana e in seguito due volte; allo stesso tempo ci incontriamo regolarmente per le IF. Il cammino è stato lento ma in continuo progresso. Le integrazioni chiarivano i temi che stavamo affrontando nelle classi di CAM, oppure io introducevo nelle lezioni di CAM delle esplorazioni che erano collegate alle sue IF, come il girarsi su di un lato, il rotolare, il raggiungere verso l’alto e verso il basso.
Durante quel periodo abbiamo dedicato molto tempo a chiarire i movimenti del bacino con lezioni come l’orologio pelvico e siamo riusciti a integrare il bacino in azioni come sedersi, alzarsi, fare dei passi, girarsi, raggiungere qualcosa.
Quando Franco ha scoperto l’importanza del bacino e delle articolazioni delle anche nelle azioni di ogni giorno, ho pensato che questo era un momento molto significativo. Franco, infatti, cominciava a osservarsi mentre camminava e stava diventando maggiormente interessato a tutto quello che faceva quotidianamente e a come lo faceva, piuttosto che continuare a rincorrere il suo primo obiettivo.
Si accorgeva che fino a quel momento aveva camminato usando le gambe come dei bastoni, senza sentir partecipare il resto di sé. Una migliore trasmissione e distribuzione del movimento lo aiutavano ora a sentirsi più leggero.
Alcune volte, alla fine della lezione, Franco provava ancora a raggiungere il pavimento con le mani, ma più spesso restava in contatto profondo con se stesso, scoprendo una morbidezza e mobilità sconosciute. Qualcosa cominciava a cambiare nell’immagine che aveva di se stesso.
Era molto riservato e non mi parlava mai della sua vita privata. Quando gli facevo domande personali come “dove andrai in vacanza?”, mi rispondeva “andremo…”, ma non mi diceva se era da solo o se aveva un partner. Dopo parecchi mesi ho scoperto che aveva due figli, che era divorziato e che aveva una giovane compagna. Da quando era in pensione, aveva trovato il tempo per seguire un corso di pittura e un corso-terapia di comunicazione non verbale.
Durante il training della Foramzione Milano2 ho invitato Franco perché riceversse una serie di IF di fronte agli allievi. Il trainer gli ha dato due o tre IF interessanti e anche lì Franco non ha detto granché di se stesso. Era molto gentile, ma se ne andava via senza fare commenti e lasciandoci un poco sorpresi.
Abbiamo continuato a lavorare regolarmente nel mio studio, scoprendo nuove possibilità e modi diversi per compiere ogni azione e un giorno Franco mi ha comunicato che camminava con molto piacere e leggerezza e che non era mai stanco. Si osservava costantemente mentre camminava e aveva notato che i suoi piedi avevano cambiato il contatto col pavimento. Provava diversi modi di camminare, concentrandosi sulle varie parti di sé e sentiva che il suo peso si stava spostando maggiormente sui talloni. Imparava a differenziare i movimenti delle caviglie e delle dita dei piedi e cominciava a sentire che la parte inferiore del corpo era più viva e più collegata con la parte superiore.
Il lavoro aveva facilitato una trasmissione più efficiente delle forze e di conseguenza il suo torace si era ammorbidito: non lo usava più per tenersi su. Questa scoperta suscitava ora in lui una nuova curiosità nei confronti del movimento delle braccia e delle spalle.
Stava cercando modi diversi di abbassare le spalle mentre camminava o si girava. Cercava ancora di controllare la posizione delle braccia e delle gambe mentre le muoveva, mantenendole in avanti in un modo artificiale. L’ho quindi aiutato a capire che le spalle si muovono in relazione a un’azione.
C’è voluto del tempo prima che Franco accettasse semplicemente di osservare e sentire che cosa stava facendo, senza cercare con ogni mezzo di cambiare un unico dettaglio.
Ogni volta, alla fine della lezione, mi spiegava molto gentilmente come la sua scoliosi l’aveva reso asimmetrico e più corto sul lato sinistro e come si sentiva meglio, senza dolori e più sciolto, giorno dopo giorno.
A un certo punto ha cominciato ad aprirsi maggiormente e a parlarmi di sé e della sua vita e a quel punto mi ha detto quanto importante era il lavoro Feldenkrais per lui. Stava scoprendo e accettando la lentezza nei suoi movimenti, mentre prima si gettava nei movimenti e li ripeteva fino al limite. Si sentiva come un esploratore che inizia un viaggio nel deserto e trova oasi inaspettate e paesaggi meravigliosi.
Riscopriva il piacere di rotolare come un bimbo, accettava di sedersi in una posizione più comoda per lui, utilizzando la gommapiuma sotto le natiche e faceva parecchie cose in modi diversi rispetto a prima; non soffriva più di mal di schiena e aveva tolto il rialzo al tacco nella scarpa. Questi erano tutti risultati del nostro lavoro, per lui assolutamente inaspettati, che contribuivano ad ammorbidirlo e a entusiasmarlo sempre di più.
Sono piacevolmente sorpresa della costanza che Franco continua a dimostrare. Mi dice che sta ancora ricevendo molto dal nostro lavoro: una nuova immagine di sé, la curiosità dell’esplorare senza giudicare, la capacità di allacciarsi di nuovo le scarpe dopo molti anni, l’abilità di piegarsi senza spezzarsi e ai miei occhi appare molto più giovane di com’era anni fa.
Mara Della Pergola, 1999
La storia di Paola
Paola è una ragazza di circa 22 anni ed è venuta da me per delle Integrazioni Funzionali® nella primavera del ‘98. Quindici mesi prima, a 20 anni, aveva avuto un ictus mentre nuotava in piscina. In quel periodo viveva a Firenze, dove frequentava l’Università. I suoi amici non si erano resi subito conto della gravità della situazione e l’avevano accompagnata all’ospedale solo il giorno successivo, quando era ormai paralizzata sul lato destro e non parlava.
Tornata poi a Milano, dove vive la sua famiglia, Paola è stata ricoverata in ospedale per un mese. Quando è stata dimessa, non aveva recuperato l’equilibrio e non era in grado di camminare. Si è quindi deciso un ulteriore ricovero in un ospedale diverso e qui i terapisti hanno ricominciato da capo la riabilitazione. Quindici mesi dopo l’ictus, e dopo essersi sentita dire dai fisioterapisti che non si poteva fare altro per lei, Paola ha iniziato a venire da me per delle IF, accompagnata dalla madre. Continuava comunque ad andare in ospedale tutte le mattine per la rieducazione del linguaggio e, dato che aveva bisogno di molto riposo, nel pomeriggio dormiva 2-3 ore. Ci siamo viste alcune volte prima dell’estate ’98 e poi una volta la settimana, con regolarità, da settembre.
Quando l’ho vista entrare per la prima volta nel mio studio e camminare, ho notato che spostava la gamba destra con un movimento semicircolare, come fanno generalmente gli emiplegici. A ogni passo fletteva molto il tronco e teneva la testa inclinata in avanti, con lo sguardo rivolto a terra. Il braccio destro pareva un’ala ferita, ripiegata e senza vita; l’intero lato destro presentava una sensibilità molto ridotta e la gamba si muoveva meglio del braccio. Ho deciso dunque di iniziare subito a lavorare con Paola, partendo dal camminare; la mia intenzione era di sostenerla nel suo desiderio di autonomia, perché sapevo che desiderava venire al mio studio da sola, senza la madre. Abbiamo quindi iniziato a esplorare la mobilità del bacino e la sua connessione con il resto della persona.
Nella prima lezione ho osservato che Paola non riusciva a sentire con chiarezza dove le toccavo la gamba o il braccio e non era nemmeno in grado di dire quale dito del piede le stavo muovendo. Era certamente più utile lavorare portando l’attenzione al suo peso in relazione al lettino e successivamente al pavimento.
All’inizio Paola aveva molta paura di perdere l’equilibrio e di cadere, ma nel giro di poco tempo ha imparato a lasciare andare il suo peso sulle diverse parti del piede destro e ha potuto quindi sentire che anche il lato destro del corpo era in grado di sostenerla. Si poteva dunque fidare un po’ di più nel fare un passo in avanti col piede destro; lo faceva con meno timore e con più lentezza di prima e ora la schiena e la testa restavano più erette.
Era evidente la sua gran capacità di apprendere; anche la sua fiducia nella nostra relazione andava rapidamente crescendo e ciò m’incoraggiava a proporle alcuni movimenti che era in grado di fare da sola. Integravo le IF con piccole CAM.
Così Paola ha imparato subito a rotolare da supina per mettersi seduta e, con sua meraviglia, lo ha potuto fare da entrambi i lati. Eravamo tutte due entusiaste per le nuove possibilità di orientamento che riscopriva: quel giorno le ho suggerito, una volta a casa, di insegnare a sua sorella come mettersi seduta nello stesso modo. Nella lezione successiva, Paola mi ha confermato di avere mostrato alla sorella che cosa riusciva a fare.
Nel giro di poco tempo l’ho invitata a provare una lezione di gruppo. Ero certa che le sarebbe stato davvero utile fare molta pratica, ma soprattutto muoversi e partecipare a un’attività collettiva, insieme a persone “normali”. Paola capiva tutte le indicazioni che le davo, a volte meglio di alcuni dei miei allievi regolari – ed era ormai in grado di alzarsi da terra, senza il mio aiuto. Questo per me era sufficiente: le ho quindi chiesto di pensarci e di darmi la risposta la settimana seguente. Paola ha accolto la proposta e dall’ottobre ’98 ha seguito regolarmente le mie lezioni, continuando anche a ricevere IF.
Ha imparato a fare – su un lato – delle lezioni difficili, come mettersi seduta dalla posizione a quattro zampe, e ciò che non è in grado di fare, lo immagina. Qualche volta la aiuto con le mie mani o le dò un incoraggiamento a voce, ma fondamentalmente insegno nel modo consueto. Ora cammina molto meglio e più velocemente. Sembra più alta e ha maggiore equilibrio; ha molta meno paura di cadere, perché è consapevole del pieno contatto dei piedi con il pavimento. In posizione eretta e nella camminata tiene la testa e gli occhi rivolti verso l’orizzonte. Qualche volta è disorientata quando si alza dal lettino e ha bisogno di qualche attimo per impadronirsi della nuova organizzazione in piedi. Rispetto a mesi fa, si stanca molto di meno ed è più autosufficiente.
I movimenti al braccio destro le fanno ora sentire un gran beneficio, diffuso su tutto quel lato del corpo; malgrado questo, le ci è voluto molto tempo per accettare di considerare quel braccio e la mano come parte di sé. Quando inizialmente prendeva la mano destra con la sinistra, l’afferrava e la muoveva senza alcuna compassione. Il lavoro fatto con il braccio destro è stato analogo a quello fatto con la gamba: accarezzare la pelle, esercitare pressione sul pavimento, sentire la risposta della forza di gravità, tirare, respingere, incrociare le dita, collegare un braccio all’altro oppure alle gambe, collegare il braccio e la mano al resto di sé, camminare intorno alla mano e al braccio destro; abbiamo anche utilizzato la mano per prendere delle palline e per farle rotolare.
Se qualche volta devo aiutare Paola, lo faccio con le mie mani ma soprattutto utilizzo un po’ d’umorismo. Le è ancora difficile verbalizzare ed esprimere a parole ciò che sente. In qualche modo riesce a dirmi come trascorre le giornate o dove va con gli amici; possiamo parlare di cinema, del tempo libero e della sua famiglia, ma le sensazioni e i pensieri astratti sono molto più difficili da comunicare. All’inizio, Paola riusciva a dirmi solo che si sentiva rilassata alla fine dell’IF. Dopo poco è stata però in grado di percepire delle differenze su entrambi i lati e di comunicarmele: per esempio maggior leggerezza o lunghezza, più integrazione e stabilità. Col tempo ha imparato a non confrontare i due lati. Mentre lavoriamo, la invito sempre a descrivermi le sue sensazioni, in modi diversi, più articolati e a confrontare e a esprimere verbalmente i cambiamenti o i miglioramenti che avverte – anche se questo rimane un compito difficile. Attualmente sta imparando a usare un computer e spero che possa scrivere qualcosa sull’esperienza fatta insieme. Abbiamo sviluppato e mantenuto un’ottima comunicazione, io sono felice dei risultati e la sto incoraggiando a fare progetti per il suo futuro.
Mara Della Pergola, 1998